INDiplomacy ha intervistato Roberto Polillo, grande artista della fotografia, milanese di nascita ma da sempre in viaggio alla scoperta delle bellezze del mondo.
Di Khalida El Khatir
Roberto Polillo fin da giovane coltiva la sua passione per la fotografia, iniziando con i suoi primi scatti dedicati al mondo della musica jazz, che ebbero grande successo nelle riviste e libri dedicati al genere musicale. La sua carriera lo ha portato ad essere prima imprenditore nel mondo dell’informatica negli anni ’70, ma anche docente universitario nell’ambito dell’ingegneria del software. Nonostante per 41 anni sia rimasto in mezzo agli studenti la sua passione per la fotografia non è mai svanita.

In questi ultimi anni sono stati diversi i progetti che hanno impegnato Roberto Polillo nel suo percorso di artista nel mondo della fotografia: il più recente quello dedicato ai suoi viaggi in Marocco, paese a lui molto caro al quale ha dedicato diversi scatti, cercando di catturare attraverso un’immagine tutta l’atmosfera marocchina. È proprio questo che si percepisce osservando le sue fotografie, protagoniste oggi in diverse mostre e musei, come quella realizzata in collaborazione con il Museo di Lugano, alla quale INDiplomacy ha dedicato un approfondimento.
Roberto Polillo, lei da anni coltiva la passione per la fotografia. Negli anni 60 ha fotografato tanti concerti jazz e si è concentrato in particolare sui ritratti dei più noti musicisti dell’epoca.
Sì, ho avuto in quegli anni una grande opportunità, perché mio padre Arrigo Polillo è stato una figura importante per la promozione della musica jazz in Italia. Organizzava concerti, scriveva, e dirigeva “Musica Jazz”, una rivista specializzata che esiste ancora. Quando avevo soltanto 16 anni, vista la mia passione per la fotografia, mio padre mi chiese fotografare i concerti per la sua rivista. Fu così che, a partire dal 1962, per una dozzina d’anni fotografai più di un centinaio di concerti, in Italia, in Francia e in Svizzera.
Ebbi la fortuna di fotografare tutti i principali musicisti dell’epoca, dagli esponenti del jazz “classico” (Louis Armstrong, Duke Ellington, Ella Fitzgerald, …) a quelli del Free Jazz, che nasceva in quegli anni: Miles Davis, John Coltrane, Ornette Coleman, Cecil Taylor, e moltissimi altri. Una esperienza importante: centinaia di foto in bianco e nero (prevalentemente ritratti) che da allora ho mostrato in numerose mostre personali, fra cui una mostra permanente all’Accademia del Jazz di Siena, e diversi libri.
A partire dalla metà degli anni ’70 mi sono dedicato all’informatica, come imprenditore e docente universitario. Ho quindi smesso di dedicarmi alla fotografia per quasi una trentina d’anni.
Cosa l’ha portata alla passione per la fotografia dei luoghi dove ha viaggiato? In particolare, perché il Marocco come maggiore protagonista delle sue opere?
Ho ripreso a fotografare all’inizio degli anni 2000, quando ho incominciato a essere meno impegnato nelle attività relative all’informatica. Sono sempre stato un appassionato viaggiatore, soprattutto in Paesi tropicali: India, Sud-Est Asiatico, America Centrale, Nord-Africa. Quando ho ripreso a fotografare mi è quindi sembrato naturale dedicarmi alla fotografia di viaggio.

Ed ho iniziato proprio in Marocco, un Paese in cui ero già stato come turista nel 1983 e che mi aveva sempre affascinato moltissimo. Allora, fra il 2005 e il 2018 sono ritornato in Marocco sette volte, al solo scopo di fotografarlo. Dagli anni ’80 ero stato un cultore e piccolo collezionista di pittura orientalista dell’800, e ho incominciato proprio a ispirarmi a queste opere nelle mie fotografie.
Le sue opere fotografiche dedicate al Marocco sono racchiuse in un libro molto bello che rappresenta diverse tipologie di luoghi e persone in movimento. Qual è il messaggio che vuole trasmettere attraverso questo tripudio di colori?
Non sono mai stato interessato alla fotografia di reportage, o al tipo di fotografie che vediamo nelle riviste di viaggi. Nei miei progetti fotografici cerco di rappresentare le “atmosfere” dei luoghi che mi affascinano, e in cui mi sento a casa. In un certo senso, cerco l’anima dei luoghi, la loro magia. Il Marocco è forse il Paese al mondo che più mi ha trasmesso queste sensazioni.
Ed è proprio in Marocco, durante il mio primo viaggio fotografico nel 2005-2006, che ho scoperto il linguaggio fotografico che da allora ho sempre usato nelle mie fotografie di viaggio. A Essaouira, per un errore di settaggio della mia prima macchina fotografica digitale. Era una donna con un bambino, di spalle, in una stradina della medina. Vidi l’immagine nel visore della fotocamera e mi affascinò subito: sembrava proprio un acquerello.
Da allora ho sempre scattato le foto con quella tecnica, che poi ho scoperto avere un nome: ICM, che sta per Intentional Camera Movement. In pratica, si tratta di muovere la fotocamera durante lo scatto, con tempi lunghi: l’immagine risulta mossa, i dettagli della scena scompaiono e si riesce molto bene a trasmettere l’atmosfera del posto. È un po’ come quando ci si ricorda un luogo dopo esserci stato molto tempo prima: non ci si ricorda dei dettagli, ma solo della impressione generale.

Il mio libro sul Marocco (Marocco. Roberto Polillo. Fotografie 2005‑2018. Edito da Silvana) contiene un centinaio di immagini, una selezione delle quali sono state presentate in una importante mostra al Museo delle Culture di Lugano, nel 2020. Ho usato esclusivamente il linguaggio dell’ICM, cercando anche, negli ultimi viaggi, di allontanarmi dalla iconografia “orientalista” tradizionale, per rappresentare le diverse anime di questo bellissimo Paese. Un tentativo certamente molto ambizioso per un non marocchino, ma che mi ha dato molte soddisfazioni. Un percorso che certamente non è ancora concluso: ogni volta che ritorno in Marocco scopro delle immagini nuove.
Tra i suoi progetti recenti c’è una collezione di foulard realizzata con il brand di moda Erla. Cosa la ha spinta a collaborare con Erla per la realizzazione di “Morocco Foulard Collection”?
Erla Gazine è un’amica stilista di origine mozambicana, che opera in Italia, che da tempo conosce e apprezza le mie fotografie. Erla, come tutte le donne africane, ama gli abiti variopinti e i colori vivaci, ed è stata affascinata dai colori delle mie immagini. Mi ha allora proposto di collaborare con lei per realizzare una serie di foulard su seta.
Abbiamo scelto sei immagini (Rabat, Marrakech, Fes, Essaouira, Chechchauen, Tetuan), che sono state stampate su seta da un laboratorio delle Marche che realizza queste stampe per altri brand importanti. Il risultato ci ha entusiasmato: la seta ravviva e impreziosisce i colori del Marocco in un modo che non mi sarei mai aspettato. Come fotografo, ne sono molto contento: è un modo per far sì che le mie immagini non vivano solo sulle pareti di un museo o di un appartamento ma anche in testa e al collo delle donne eleganti. Un esperimento molto riuscito, che continuerà con altri prodotti.
John Coltrane, Juan-les-Pins, France,1965 Ella Fitzgerald, Milano, Italy, 1969 Thelonius Monk, Milano, Italy, 1964