
Lo scorso febbraio, la Direzione Politiche Economiche, settore internazionalizzazione di Confartigianato ha organizzato il webinar “Brexit…e ora? Cosa cambia per le PMI”, per approfondire i contenuti dell’accordo firmato tra Unione europea e Gran Bretagna per l’uscita dall’Europa e analizzare l’andamento del Made in Italy.
Nel corso dell’incontro, che ha visto la partecipazione del Ministero degli Esteri, dell’Agenzia ICE e l’Agenzia delle Dogane, è stato presentato un report sulle tendenze del made in Italy sul mercato britannico con uno specifico focus sui settori delle piccole e medie imprese più influenti: food, moda, legno, mobili, prodotti in metalli, gioielleria e occhialeria.

Questi settori determinano più del 60% dell’occupazione, generando esportazioni sul mercato britannico che, nei 12 mesi tra ottobre 2019 e settembre 2020, ammontano a 7,6 miliardi di euro.
Il Made in Italy sul mercato del Regno Unito vale 1,4 punti di PIL e, prima della pandemia (2015-2019), ha registrato un tasso di crescita medio annuo del 3,1%. Ad influire sulla competitività delle imprese italiane è anche l’apprezzamento dell’euro sulla sterlina registrato nel 2020.
Le vendite maggiori si registrano nel settore dei Prodotti alimentari con 2.303 milioni di euro (30,2%), seguiti da articoli di abbigliamento con 1.663 milioni (21,8%), articoli in pelle con 1.026 milioni (13,5%), prodotti in metallo, esclusi macchinari e attrezzature con 883 milioni (11,6%), mobili con 686 milioni (9,0%), prodotti delle altre industrie manifatturiere con 655 milioni (8,6%), prodotti tessili con 305 milioni (4,0%) e legno e prodotti in legno e sughero con 94 milioni (1,2%).
Dal punto di vista territoriale, più della metà del made in Italy delle PMI nel Regno Unito – il 53,4% dell’export – proviene dalla Toscana, Emilia Romagna, Veneto e Friuli-Venezia Giulia.

“L’accordo trovato a fine dicembre scorso è un’ottima notizia perché ha evitato l’entrata in vigore di dazi e contingenti per le merci oggetto di scambio commerciali. Questo è un dato significativo, perché nelle settimane precedenti all’accordo alcune stime prevedevano che, in caso di no deal, il flusso dei nostri beni verso il Regno Unito sarebbe calato dell’11%. Il Ministero degli Esteri sta lavorando per supportare la comunità imprenditoriale italiana sugli aspetti più operativi” ha sottolineato il Direttore Generale della Promozione Paese del Ministero degli Esteri, Lorenzo Angeloni.