di Mara di Fuccia

La musica è da sempre fonte di storie e culture lontane. Il migrante, lo straniero, porta con sé ogni qualvolta si muove dal proprio paese nativo una prospettiva diversa, un luogo non statico, ma dinamico. Il movimento, il viaggio, la migrazione sono costantemente attivati anche dalla scrittura, che diviene un modo per rifiutare la dominazione e trovare autorevolezza. Il calamo, la penna, i tasti di una tastiera registrano uno spostamento in cui si perde qualcosa e si guadagna altro. Si perde la sicurezza del punto d’origine, si guadagna la conoscenza di una lingua a cui siamo soggetti.

Musica
Bombino,  chitarrista e cantautore nigerino di etnia tuareg, annoverato tra i più grandi musicisti della nostra epoca

Ascoltiamo, incontriamo e viviamo altre storie. È in questo paesaggio migratore che si scrive una nuova storia, scomposta e rimodellata alla luce di ciò che abbiamo ereditato e di ciò che siamo. Bisogna comprendere che le frontiere non sono mura indistruttibili, ma zone di transito, di movimento, che ci permettono di ampliare gli orizzonti. In questo ci aiuta la musica, che rivela la propria capacità di trasgredire, di andare oltre le istituzioni che la producono, sbilanciando le armonie dell’ideologia: è uno strumento importante, che ci aiuta a registrare la complessità di un mondo articolato.

Rock e raï, canzone del gruppo emergente Crifiu, che riassume la dinamicità del
Mediterraneo

La musica raï, ad esempio, mostra come la tradizione venga trasformata a seguito del passaggio in altri luoghi culturali e storici. Nata come musica urbana legata alla cultura femminile algerina, viene trasportata sull’altra sponda del Mediterraneo, dove è utilizzata come genere prevalentemente maschile fra le diaspore degli immigrati. Oggi c’è molto dello stile arabo nel ritmo occidentale e, allo stesso tempo, c’è molto di Occidente nella musica araba, soprattutto nei contenuti, nell’idea di fare musica per ribellarsi al regime, per difendere i diritti umani, per far sentire la propria voce.

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Il giovane rapper tunisino Hamada Ben Amor, in arte El Général

Sfidando il proprio regime, andando controcorrente, è proprio un giovane rapper tunisino, Hamada Ben Amor, soprannominato El Général, che nel suo brano Rais Lebled mostra una realtà scomoda: descrive una società disagiata, in cui le donne sono emarginate, trattate come oggetto, dove regna l’ingiustizia e la voce del popolo non è ascoltata, in cui i sogni dei giovani vengono oppressi dal regime. Il genere dell’hip hop lo ritroviamo soprattutto in Palestina, dove tre giovani ragazzi, Tāmer, Suhīll Nafār e Maḥmūd Jrāri, hanno dato vita al gruppo DAM. Interessante è la loro collaborazione con le rapper Arapeyat in Al Huriye Unt’a (libertà per le mie sorelle), in cui si combatte la violenza sulle donne.

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Etétrad, il festival valdostano di musica popolare che coniuga migrazione e tradizione

La musica pop, inoltre, ha anche un altro scopo, quello di educare il pubblico giovanile rispetto alla realtà in cui vivono; molti rapper dichiarano, infatti, di non fare musica per denaro, ma per migliorare loro stessi e la loro società. Dalla sperimentazione di tali gruppi, dunque, si può comprendere come la musica sia l’unico mezzo in grado di valicare i confini per fornire un nuovo ascolto delle storie politiche e culturali.