La ricerca italiana, nonostante le molte difficoltà, continua a produrre risultati eccellenti. Questa volta per merito di Luca Tiberi, brillante biotecnologo marchigiano vincitore dell’edizione 2020 dell’EMBO Young Investigators Award. Era dal 2016 che un italiano non si aggiudicava il prestigioso premio dedicato ai migliori ricercatori europei under 40 nell’ambito delle life science.

Si tratta di un riconoscimento importante per l’innovativo lavoro di ricerca svolto dal team di Tiberi presso il CIBIO, il Centro di Ricerca Integrata fiore all’occhiello dell’Università di Trento. Lavoro che si basa sulla creazione in laboratorio di organoidi che permettono di studiare lo sviluppo del cervello e l’insorgenza dei tumori cerebrali, sperimentando nuove cure. Di recente, Tiberi ha individuato un importante meccanismo all’origine del medulloblastoma, il tumore cerebrale più comune in età pediatrica, aprendo la strada a possibili migliori terapie.
Dopo la laurea in Medical Biotechnology all’Università di Bologna e il dottorato in Oncologia Molecolare, ottenuto all’Università di Trieste con una ricerca sul cancro al seno, nel 2008 Tiberi si è trasferito a Bruxelles, specializzandosi nell’utilizzo di tecnologie con cui vengono prodotti gli organoidi.

Il ritorno in Italia è avvenuto nel 2016 grazie a un altro premio, il Career Development Award, con cui la Armenise-Harvard Foundation porta in Italia giovani scienziati, finanziando la creazione di gruppi di ricerca all’interno di centri di eccellenza come il CIBIO. Così è nato l’Armenise Harvard Laboratory of Brain Disorders and Cancer di cui Tiberi è responsabile.
Una carriera eccezionale, che tuttavia mette in luce le difficoltà del sistema italiano. Come sottolinea lo stesso Tiberi: “Questo premio dimostra che con i giusti finanziamenti la ricerca italiana può ottenere risultati di alto livello. Purtroppo, i fondi che abbiamo ricevuto provenivano per la maggior parte da enti privati.” Per rendere la ricerca italiana più competitiva a livello europeo, invece, dovremmo puntare su “politiche di finanziamento pubblico. Inoltre, dovremmo stimolare il mecenatismo, per integrare i fondi pubblici con capitali privati.”
L’Italia investe in ricerca l’1,35% del PIL, ben al di sotto della media europea, pari a circa il 2%. I finanziamenti pubblici, poi, ammontano solo allo 0.5%. Dati sconfortanti, che soffocano le enormi potenzialità della ricerca italiana e spingono sempre più giovani ricercatori verso l’estero, come ha dimostrato la recente assegnazione degli Starting Grant dell’European Research Council: dei 53 italiani vincitori, soltanto 20 lavorano in Italia.

Una possibile soluzione è rappresentata dal piano proposto dal fisico Ugo Amaldi, che porterebbe gli investimenti pubblici in ricerca al 1,1% del PIL entro il 2026. Di recente, il governo ha promesso che stanzierà per la ricerca 15 miliardi in 5 anni grazie al Recovery Fund, avvicinandosi alla proposta di Amaldi. Resta da vedere se alle parole seguiranno i fatti.