di Leonardo Brembilla

Fino a pochi mesi fa, nessuno ci avrebbe scommesso: eppure ieri a Tripoli, la capitale della Libia, si è svolta con successo la cerimonia del passaggio di consegne tra il Governo di Accordo Nazionale (GNA) uscente, formato nel 2015 in seguito agli accordi di Skhirat e guidato da Fayez al-Serraj, e il nuovo Governo di Unità Nazionale (GUN) del premier Abdul Hamid Dbeibah, che solo pochi giorni prima aveva ottenuto la fiducia da parte della Camera dei Rappresentanti a Tobruk.

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Il nuovo Primo Ministro della Libia, Abdul Hamid Dbeibah

La cerimonia segna una svolta storica nelle complesse vicende libiche, ed è il frutto inaspettato della rapida evoluzione sul campo avvenuta negli ultimi mesi. Nel 2015, la Libia si era di fatto spaccata in due: da un lato la Tripolitania, in mano al GNA, il governo riconosciuto dall’ONU e dalla comunità internazionale; e dall’altro lato la Cirenaica, governata dalla Camera dei Rappresentanti di Tobruk e sotto il controllo militare di Khalifa Haftar.

Nel 2019, la contrapposizione tra le due parti si era tramutata in conflitto aperto in seguito all’offensiva avviata dall’Esercito Nazionale Libico di Haftar, giunto in breve fino alle porte di Tripoli. L’intervento successivo della Turchia a fianco del GNA, tuttavia, ha portato ad uno stallo militare intorno alla città di Sirte. Stallo che ha permesso a Stephanie Williams, la Rappresentante delle Nazioni Unite per la Libia, di negoziare un cessate il fuoco, firmato lo scorso ottobre a Ginevra.

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Un’immagine dal Forum di Dialogo Politico Libico

Il cessate il fuoco ha rappresentato una svolta fondamentale, fornendo la base la costituzione del Forum di Dialogo Politico Libico che a febbraio ha eletto Mohamed Ahmed al-Manfi alla guida del Consiglio Presidenziale e Abdul Hamid Dbeibah a capo del nuovo Governo di Unità Nazionale. La nuova compagine governativa guidata da Dbeibah, nata con l’obiettivo di traghettare il paese fino alle elezioni del prossimo 24 dicembre, ha poi ottenuto un’ampia fiducia dalla Camera dei Rappresentanti riunitasi a Sirte. La Libia quindi dopo sei anni ha finalmente un governo unitario, che si trova però a dover gestire una situazione oltremodo complessa.

Proprio in occasione del passaggio di consegne, l’Istituto Affari Internazionali ha organizzato un incontro con l’Ambasciatore Pasquale Ferrara, inviato speciale del ministro degli Esteri per la Libia. Rispondendo alle domande degli ospiti, l’ambasciatore Ferrara ha commentato quella che rappresenta una “fase inattesa fino a pochi giorni fa”, sottolineando l’importanza di trovarsi di fronte ad un governo legittimato per la prima volta in tanti anni da un voto parlamentare.  “Questo segna un cambio di marcia nel percorso della faticosissima transizione libica” ha affermato Ferrara. “Siamo passati dall’idea che l’intervento militare potesse essere risolutore a una nuova centralità della politica e della diplomazia”.

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L’Ambasciatore Pasquale Ferrara, inviato speciale per la Libia del Ministro degli Esteri

Il vero game changer è stato il cessate il fuoco, che ha reso evidente a tutti come la soluzione allo stallo non potesse passare dalle armi e ha permesso così a Stephanie Williams di costruire un dialogo inclusivo non solo delle parti in conflitto ma anche della società civile, giovani e donne inclusi. Il governo frutto di questo dialogo è un governo di scopo, ma che dovrà far fronte a sfide importanti in soli sette mesi: portare il paese alle elezioni di dicembre, completare l’attuazione del cessate il fuoco e facilitarne il monitoraggio da parte dell’ONU, garantire l’erogazione di alcuni servizi pubblici di base come l’approvvigionamento di energia elettrica.

La sfida principale sta tuttavia nella necessità di avviare un processo di riunificazione delle istituzioni nazionali, nell’ottica del recupero di una piena sovranità. Soltanto un governo centrale forte, ha detto Ferrara, può infatti liberare la Libia dalla presenza di forze militari straniere, avviando quella che egli definisce una “nuova decolonizzazione”.

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Il passaggio di consegne tra Dbeibah e al-Serraj

L’Italia può fare molto per la Libia: da un lato, attraverso la cooperazione economica e il sostegno a quelle istituzioni, come i municipi, che più sono vicine alle esigenze dei cittadini; e dall’altro lato contribuendo al necessario sforzo di state building, che non riguarderà soltanto le istituzioni ma anche la capacità di controllare i confini, da anni non sorvegliati.  

In tal senso “gli strumenti ci sono”, secondo Ferrara. Sono le missioni europee Irini e EUBAM, in cui l’Italia è coinvolta in modo significativo, e che potrebbero operare nell’interesse di tutti, a partire dall’Europa che ambisce ad un ruolo geopolitico più incisivo e dagli stati confinanti come l’Algeria, preoccupati per la porosità dei confini libici. La stella polare dell’azione italiana però, conclude Ferrara, non può che essere il bene del popolo libico, che da anni non conosce pace ma che finalmente vede un barlume di speranza.