Sabato 13 novembre, dopo due settimane di negoziazioni sotto la co-presidenza di Regno Unito e Italia, la COP26 è giunta al termine. I delegati dei 194 paesi partecipanti hanno approvato il “Glasgow Climate Pact”, dalla città che quest’anno ha ospitato il summit dell’ONU sui cambiamenti climatici.

L’appuntamento di quest’anno era particolarmente importante: nel 2015, durante la COP21, i Paesi riuniti a Parigi avevano stabilito infatti che ogni 5 anni avrebbero presentato un piano aggiornato con obiettivi sempre più ambiziosi per il contrasto al cambiamento climatico. Dunque, molti si aspettavano un risultato finale che eguagliasse, per ambizione e impatto, gli Accordi di Parigi. In questi anni, inoltre, gli effetti dei cambiamenti climatici sono diventati più visibili, e il tema è salito ancor più alla ribalta grazie a grandi manifestazioni di piazza in tutto il mondo. Insomma, le aspettative erano alte.
Aspettative che però non sono state soddisfatte: come scrive il Post “dopo la chiusura dell’accordo finale, il sentimento prevalente tra i negoziatori partecipanti e gli osservatori esterni è stata la delusione.” Le cause di questa delusione sono diverse. La principale è stata la decisione di accogliere all’ultimo la richiesta da parte dell’India di modificare gli impegni presi sulla dismissione del carbone. Di conseguenza, nel testo l’eliminazione graduale (phase-out) del carbone è stata sostituita dalla riduzione graduale (phase-down). La posizione dell’India ha le sue ragioni, ma le conseguenze di questa piccola alterazione sono comunque enormi, perché riducono di molto il potenziale impatto dell’accordo di Glasgow: da qui l’accusa di un accordo finale “annacquato”.

Un’altra fonte di delusione è riguarda i Nationally Determined Contributions (NDC), ossia i piani dei singoli paesi indicanti la misura della riduzione delle proprie emissioni al fine di raggiungere gli obiettivi stabiliti a livello internazionale. A Glasgow, eccezion fatta per l’India, nessuno dei grandi produttori di gas serra ha rinnovato o migliorato i propri NDC. Infine, non si è materializzato un impegno finanziario concreto sul tema “Loss and damage”, con la mancata creazione di un meccanismo di risarcimento per le nazioni più povere vittime dei cambiamenti climatici creati da quelle più ricche.
Tuttavia, sebbene la delusione sia giustificata, la COP26 ha comunque prodotto dei passi avanti. Per la prima volta, il documento finale cita i combustibili fossili e la necessità di ridurne l’uso: un importante tabù che cade. I paesi hanno poi concordato che taglieranno del 45% le emissioni entro il 2030, riuscendo così a “mantenere vivo” l’obiettivo di limitare l’aumento delle temperature globali a un massimo di 1,5°C rispetto ai livelli pre-industriali. A questo si aggiunge l’impegno per ridurre del 30% le emissioni di metano entro il 2030. Inoltre, si è deciso che tutti i paesi dovranno aggiornare i propri NDC entro il 2022, in occasione della COP27 che si terrà in Egitto, introducendo così una loro revisione annuale.

Infine, tra le note positive vi sono l’accordo tra Cina e Stati Uniti, i due più grandi emettitori al mondo, per rafforzare la loro cooperazione, e l’impegno sottoscritto per fermare la deforestazione entro il 2030 al più tardi.
E l’Italia? L’impegno assunto assieme al Regno Unito è stato quello di sfruttare le presidenze di G7, G20 e COP26 per mettere i cambiamenti climatici al centro dell’agenda multilaterale nel 2021.
La delegazione italiana è arrivata a Glasgow consapevole che si dovesse andare oltre i vaghi impegni presi al Summit G20 di Roma, ed ha saputo giocare un ruolo attivo nelle negoziazioni della COP26. Inoltre, il governo italiano ha preso alcuni impegni specifici, ad esempio sull’obiettivo emissioni nette pari a zero entro il 2050, sulla creazione a livello globale di almeno sei corridoi verdi entro la metà di questo decennio, sull’incremento della produzione di energia pulita per accelerare la transizione energetica e infine sullo sviluppo sostenibile agricolo delle foreste e di altri ecosistemi. L’intero elenco delle alleanze e dei documenti sottoscritti dall’Italia è disponibile qui.

Gli impegni italiani hanno comunque attirato diverse critiche, perché considerati insufficienti e soprattutto non sostenuti da politiche concrete: secondo l’ONG A Sud, “ad oggi, a politiche correnti, l’Italia ridurrà di appena il 26% le emissioni al 2030, circa la metà del più blando dei target raccomandati della comunità scientifica”.
In conclusione, la COP26 di Glasgow ha prodotto dei miglioramenti, ma bisogna fare di più. La delusione è legittima e la sensazione di aver perso un’occasione importante rimane. Serve tenere alta la pressione, per evitare di sprecare il tempo che rimane.