Cecilia Laschi, scienziata, è un vero orgoglio italiano. Laschi, infatti, è una degli studiosi internazionali di maggiore rilevanza nell’ambito della robotica, e in particolare è pioniera dell’invenzione dei cosiddetti soft robot.

Cecilia Laschi, pioniera nella soft robotics
Cecilia Laschi, pioniera nella soft robotics

Nata a Piombino nel 1968, Cecilia Laschi ha conseguito una laurea magistrale in Informatica presso l’Università di Pisa e un PhD in Robotica presso l’Università di Genova. Ha lavorato in Giappone, paese noto per i suoi investimenti nel settore della robotica, e fino allo scorso settembre insegnava Bioingegneria Industriale alla Scuola Superiore di Sant’Anna di Pisa, università che si sta affermando sempre di più in Italia come centro di eccellenza nella ricerca, in particolare sulle nuove tecnologie.

Dopo anni di lavoro sull’applicazione delle reti neurali artificiali nell’ambito della robotica, Cecilia Laschi “ha spostato il suo focus di ricerca dal cervello al corpo dei robot“, dedicandosi allo sviluppo di robot “realizzati con materiali morbidi e flessibili e che sono in grado di interagire in modo più sicuro con l’uomo e l’ambiente esterno“, spiega Davide Lo Prete su AI4Business.

Partendo dall’osservazione del mondo animale, e in particolare dei movimenti del polpo, ha inventato Octopus, il robot che riproduce i movimenti di un polpo reale, e grazie a otto braccia può camminare lungo i fondali raccogliendo oggetti. Con l’invenzione del primo soft robot, Laschi ha reso l’Istituto di BioRobotica della Scuola Sant’Anna un’eccellenza a livello globale.

Cecilia Laschi con Octopus
Cecilia Laschi con Octopus

Da circa un anno, Cecilia Laschi si è messa in aspettativa, per andare ad insegnare al Dipartimento di Ingegneria Meccanica della National University di Singapore, una delle venti migliori università al mondo.

Cecilia Laschi ha concesso di recente una lunga intervista a Forbes.it, in cui ha parlato delle prospettive della robotica, della propria scelta di lasciare temporaneamente l’Italia, e dello stato della ricerca universitaria nel nostro paese. Ne riportiamo qui un estratto. L’intervista completa è disponibile sul sito della rivista.

Come sta Octopus?

Lo sto resuscitando. Ho  ripreso un argomento sul braccio del polpo, segmento che all’epoca non era stato sviluppato in modo completo. Con il polpo abbiamo rivoluzionato la locomozione marina […]. Con i robot morbidi si riescono a ottenere movimenti più efficienti che riducono la resistenza opposta dall’acqua.

E così, la seconda parte di questa rivoluzione sarà Made in Singapore.

Solo in parte perché è condivisa con un collega italiano che si occupa di fluidodinamica. Con i numeri dobbiamo convincere dell’efficacia dei movimenti del polpo in robotica.

cecilia laschi sant'anna pisa
Cecilia Laschi con un robot “umanoide”

C’è un fatto in tutto questo. Le potenzialità del polpo in questi anni sono rimaste silenti. Peccato.

L’Europa finanziò questa nostra ricerca tra l’altro visionaria per l’epoca. Il passo successivo doveva però essere sostenuto dal nostro Paese che a differenza di altri Stati europei non prevede finanziamenti adeguati. E così il polpo è rimasto nel limbo, con grande dispiacere sapendo che è ancora un mondo da esplorare.

E così, lei ha fatto le valigie.

Alla Scuola Sant’Anna mi trovavo molto bene, amo l’Italia. Però mi piace anche uscire dalla “zona di conforto” e rimettermi in gioco. Poi sì, un po’ di sprechi di idee e potenzialità li ho visti sia a livello nazionale sia europeo.

Andiamo per ordine. Partiamo dall’Italia

L’Italia vive un paradosso enorme. Le nostre aule saranno pure brutte e capita che manchino le lavagne digitali, ma la formazione universitaria è ottima e si vede quando mandiamo all’estero i nostri ragazzi. Si fa un forte investimento sull’istruzione dei ragazzi, ma manca l’investimento sulla parte successiva, cioè quella che potrebbe dare frutti. Prendiamo l’esempio dei nostri dottorati, finanziati con borse di studio che non saranno elevate ma ci sono. In aggiunta a questi, finanziamo fra i tre e i sei mesi di esperienza negli atenei esteri. E chi mandiamo? I nostri migliori studenti, ben formati e magari con le idee maturate nei laboratori di origine. Ovviamente all’estero accettano un capitale umano di questa levatura tra l’altro gratuito, anzi poi se lo tengono ben stretto. Del resto, ai nostri migliori non offriamo molte posizioni accademiche e di ricerca, perché appunto mancano gli investimenti in ricerca, per cui i ragazzi giustamente raccolgono altre offerte. E così investiamo senza raccogliere i risultati.

Perché non è chiaro che la ricerca porta economia.

Da noi si continua a pensare che la ricerca è solo una spesa senza capire che è il vero investimento per un paese.

Leggi il resto dell’intervista qui.