INDiplomacy ha intervistato Amedeo Scarpa, direttore dell’ufficio di Dubai di ICE, l’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane. ICE è l’organismo attraverso cui il Governo favorisce il consolidamento e lo sviluppo economico-commerciale delle nostre imprese sui mercati esteri.
Amedeo Scarpa ha 29 anni di esperienza presso ICE: è stato Vice Direttore presso la sede in Brasile e Direttore degli uffici di Riyadh, Kuwait, Madrid, Damasco, Nuova Delhi e Pechino. Presso la sede di Roma, invece, Scarpa si è occupato della pianificazione e delle attività promozionali per i settori della meccanica e della tecnologia e anche per quello dei materiali da costruzione e arredamento, oltre ad aver diretto l’ufficio di “coordinamento rete estera” quale suo primo incarico dirigenziale dieci anni fa.
Con questa intervista, INDiplomacy ha voluto raccontare la storia di una persona che da anni, con passione e lungimiranza, lavora al servizio delle istituzioni, contribuendo a promuovere l’Italia nel mondo.
Dottor Amedeo Scarpa, cominciamo con una domanda sul suo percorso personale: da dove nasce il desiderio di seguire una carriera in ICE e quindi di impegnarsi a sostegno del Made in Italy?
Me lo sono chiesto anche io, ed ho una risposta e una non risposta. Parto dalla non risposta: la passione. E la passione non te la spieghi. Spesso mi dicono che trasmetto energia in quello che faccio: è perché ci credo, perché mi piace. Se la non-risposta è passione, la risposta invece è curiosità. Mi sono sempre chiesto come mai l’Italia, un paese geograficamente così piccolo e con una popolazione tutto sommato limitata sia riuscita a divenire, ormai da decenni, una potenza esportatrice, capace di raggiungere i 500 miliardi di export l’anno. L’Italia è membro del G7, è il nono esportatore mondiale e la seconda manifattura europea, eppure se la guardi sul globo è poco più di una macchia.

Alcune risposte a questa curiosità le ho trovate: credo che la spiegazione fondamentale stia nella fortuna di avere radici e i valori millenari. Tutto si innesta su una profondità culturale. E prima o poi, in tutte le parti del mondo in cui mi sono trovato ad operare, gli interlocutori hanno riconosciuto questo valore antropologico italiano. Alle nostre radici, poi, noi uniamo anche un’attitudine tipica di chi nasce in un luogo che è ponte tra realtà diverse: la capacità di adattarsi, di essere flessibili.
La famosa flessibilità tipica delle PMI italiane, del prodotto, del servizio, ecco, è una cosa che ha fatto sempre la differenza sui mercati internazionali. Ci viene naturale, altrimenti non saremmo diventati il nono esportatore mondiale e il più forte in termini di flessibilità e prodotti tailor-made.
Riprendendo il tema di come l’Italia viene vista nel mondo: Lei ha vissuto e lavorato in tanti paesi diversi. Riesce ad individuare dei tratti comuni nel loro sguardo verso l’Italia?
Io sono stato fortunato, perché ho avuto la possibilità di lavorare a diverse latitudini, dal Brasile alla Cina, passando per due volte in questa parte del Medio Oriente che si affaccia sul Golfo Arabo. C’è un elemento comune nell’apprezzamento di cui il Made in Italy gode in posti così diversi: la nostra capacità di mostrarci senza veli, di essere “sinceri”, mostrando la carica di tradizione e di innovazione che riusciamo a infondere nei nostri prodotti e a trasmettere con il lavoro delle nostre aziende, spesso di tipo famigliare, e con gli eventi di promozione che organizziamo. Questo ci permette di creare rapporti di fiducia vera.
Credo che le relazioni durature, ovunque nel mondo, si basino soprattutto su questo, sulla credibilità e sulla fiducia di relazioni. Posso fare l’esempio della Cina, che mi ha offerto un’esperienza meravigliosa e molto formativa. Nei miei anni a Pechino ho avuto prova tangibile che il globo terrestre è costituito da due parti (la definizione è mia e mi piace): “la Cina, e il resto del mondo, o il resto del mondo e la Cina, a seconda del punto di vista”. Con le sue radici culturali antiche almeno quanto le nostre, la Cina può apparire la più grossa sfida per un operatore di commercio estero.
Eppure, esiste una chiave di volta che, se sinceramente utilizzata, ti apre quella parte del mondo, con altrettanto entusiasmo e coinvolgimento: è il rapporto win-win. I cinesi partono dal concetto confuciano di armonia, che crea una situazione equilibrata e vantaggiosa per tutte le parti. Se lo si fa su base di fiducia e di apertura, anche se non si parla la stessa lingua, si aprono delle opportunità di interlocuzione prima inimmaginabili. E noi italiani abbiamo questa predisposizione ad essere “aperti”. La fiducia si costruisce dandola, è bidirezionale. Non c’è latitudine che faccia la differenza su questo punto
Il Medio Oriente è una regione che lei conosce molto bene, avendo lavorato in Arabia Saudita, Siria, Kuwait e ora negli Emirati Arabi Uniti: è un luogo che offre grandi opportunità alle aziende italiane. Vi capita di dover affrontare difficoltà di natura culturale, timori o preconcetti da parte delle aziende che si rivolgono a voi?
Questa è una parte del mondo estremamente ospitale (il saluto che ci si scambia è “la pace sia con te”) e di genti in passato abituate a condizioni climatiche non facili, che richiedono un grande spirito di adattamento e di pazienza. Il cosiddetto Medio Oriente (ma “medio” rispetto a cosa?) è dunque un posto di eccellenti negoziatori, armati di grande pazienza e perseveranza negli affari. Il deserto e le condizioni climatiche estreme hanno loro insegnato a saper aspettare il momento opportuno.

E dunque, avere fretta o impazienza, o pensare di calendarizzare tutto in modo “rigido” e “scientifico” è uno degli errori più comuni da parte di molte aziende italiane che credono, invece, di ottimizzare con tale approccio le loro missioni qui per concludere accordi con gli interlocutori locali nel minor tempo possibile. La costruzione di un rapporto di fiducia anche qui, soprattutto qui, passa innanzitutto dalla tua disponibilità, anche di tempo che hai da dedicare ai tuoi partner.
Capita talvolta che si fissi un incontro, e l’interlocutore poi in quel momento non si presenti. Non necessariamente è scortesia; talvolta è un modo di mettere alla prova la tua disponibilità: se tu non hai tempo per me, non mi dai la possibilità di conoscerti bene e creare un rapporto di fiducia, allora probabilmente anche io non ho tempo per te.
Spesso, far passare questo concetto a chi vive con i minuti organizzati, è davvero molto difficile. Aggiungo una cosa: questa regione, e gli Emirati Arabi in particolare, sono un luogo multiculturale. Sicuramente chi viene qui si trova ad operare in un ambiente di respiro internazionale, ma alcune accortezze come quelle di cui parlavo, il saluto, la disponibilità di tempo, possono fare solo bene al business.
Proprio gli Emirati Arabi stanno attraversando oggi un periodo di trasformazione economica molto profonda, che si traduce in grandi opportunità di investimento. Quali sono i settori più attraenti per le aziende italiane, quelli in cui il nostro know-how può fare la differenza?
Ringrazio per la domanda, perché mi permette di affrontare qualche stereotipo. La storia dei paesi del Golfo viene solitamente divisa in due parti: before oil and after oil, prima e dopo il petrolio. È evidente che se restiamo su questa impostazione, certamente settori di forte attrattività per le aziende italiane sono stati e rimangono quelli legati all’intera filiera dell’oil&gas. A questi si aggiungono poi le consuete tre F: food, fashion, furniture (cibo, moda e arredamento). Tuttavia, vi è in questo paese una forte volontà ad andare ben oltre l’after oil, che si concretizza in una parola: innovazione.
Gli Emirati Arabi spingono molto sull’innovazione, e tendono ad attrarre non soltanto capitali finanziari, di cui dispongono abbondantemente, ma anche capitale umano. Esistono una serie di programmi volti ad attrarre innovatori, aziende, start up, e a creare il giusto humus, sia con incubatori e acceleratori, sia con fondi di investimento dedicati.

Quindi, in aggiunta ai settori tradizionali, noi spingiamo molto sull’innovazione. Indirizzato e controllato dal Ministero degli Esteri e a stretto gomito con l’Ambasciata ad Abu Dhabi e il Consolato Generale di Dubai, ICE negli EAU investe molto sulla partecipazione collettiva alle fiere relative al settore alle energie rinnovabili, tema attorno a cui ruota anche Expo 2020, a quelle sul trattamento dei rifiuti e gestione delle acque, e a quelle collegate al healthcare e alla nautica da diporto, solo per fare alcuni esempi. La pandemia ha poi acceso un faro anche sui programmi di food security, che in un luogo caratterizzato da condizioni climatiche estreme passa anche da soluzioni innovative in agricoltura intensiva, come per l’agricoltura idroponica, le serre verticali, etc.
Guardando all’innovazione, voi come ICE avete lavorato molto con le start up: quali consigli rivolgerebbe a giovani innovatori italiani che vedono Dubai come possibile trampolino di lancio per un’azienda o un’idea innovativa?
Ne do due: uno, molto semplice e operativo, è quello di contattare ICE. C’è un ufficio dedicato a Roma che fa selezione delle start up e indica tutte le fiere e occasioni a cui esse possono partecipare. Per restare negli EAU, menziono due esempi: a inizio anno abbiamo organizzato a Dubai la prima edizione del Global Start Up Program, il progetto che permette alle startup innovative italiane di accedere a un programma di incubazione e accelerazione all’estero.
Il progetto è stato realizzato grazie ad una collaborazione con il più importante incubatore ed acceleratore pubblico emiratino, la Dubai Future Foundation. Al termine delle 8 settimane del programma, tutte e 11 le start up italiane, la prima volta per un gruppo estero, hanno ricevuto il golden business visa, una sorta di fast track nell’ipotesi si voglia aprire un branch qui. Il secondo esempio è la fiera Gitex Future Stars, la cui prossima edizione si terrà a ottobre. Abbiamo già oltre 40 start up italiane che faremo partecipare e presenteremo con pitch dedicati a potenziali investitori.
La seconda cosa è più che altro un suggerimento che mi sento di dare da mia esperienza: siete arrivati a proporre una soluzione nuova ad un problema globale probabilmente perché siete cresciuti in un contesto, quello italiano, dove la fertilizzazione delle idee, della creatività, è sin dai tempi di Leonardo un valore diffuso ed esportabile in tutto il mondo. Attenzione quindi a non fare l’errore di lasciare definitivamente l’Italia perché attratti da programmi esteri di investimento. Annullereste la ragione ultima del vostro successo, inteso come capacità di dare soluzioni nuove, creative, a problemi nuovi. Sono profondamente convinto che l’Italia conservi una capacità di stimolo, creazione, innovazione ancora assolutamente unica al mondo. E, senza false modestie, dobbiamo andarne fieri.
Veniamo al tema caldo del momento, Expo, che ha dovuto essere rimandato di un anno a causa della pandemia ed ora ha l’ambizione di diventare un simbolo della ripresa, dopo due anni molto difficili per l’economia globale nel suo complesso. In che misura lei pensa che questo evento possa sostenere la ripresa della nostra economia?
Innanzitutto, è il tema stesso di Expo, “connecting minds, creating the future”, che chiama l’Italia. Torna il tema della mente, della capacità di connettere le cose. Di creare. Personalmente, ho trovato meraviglioso lo slogan scelto dall’Italia. Con la frase “beauty connects people” abbiamo individuato lo strumento attraverso cui noi come Italia siamo capaci, appunto, di collegare le persone e creare il futuro: la bellezza. Mi emoziono se penso all’idea della bellezza che connette le persone: non le cose, non i servizi o i prodotti. Le persone.
Expo certamente è un importante volano per le aziende, una vetrina soprattutto per le sfide globali che ci attendono. E per immaginare soluzioni concrete ed operative a queste nuove sfide. Con il Commissariato Italia per Expo, ICE ha un piano di collaborazione che abbina momenti seminariali di presentazione delle nostre best practice su questi temi (li abbiamo chiamati Innovation Talks* e si svolgeranno dentro il Padiglione Italia) al potenziamento dei buyers presso le circa 20 fiere settoriali commerciali, più spiccatamente trade oriented, che nello stesso semestre si svolgeranno come ogni anno a Dubai e dove a valere sul nostro programma promozionale realizzeremo le presenze collettive ufficiali italiane. (Per scoprire tutte le fiere che si terranno in concomitanza con Expo, cliccate qui).
Per concludere su una nota personale: lei ha viaggiato molto e da anni vive lontano dall’Italia. Che cosa le manca del Belpaese?
(Sorride) A parte la mamma? Il pasticciotto e il rustico leccese. E la trasparenza del mio mare salentino.
.
*Le aziende interessate a partecipare alle Innovation Talks possono contattare l’indirizzo dubai@ice.it. È già in corso il recruiting per le attività del primo trimestre di Expo, fra ottobre e dicembre. Sono ancora disponibili gli ultimi posti. Sono aperte invece le iscrizioni per le fiere che si terranno nel secondo trimestre di Expo, dopo Capodanno.
L’indirizzo a cui scrivere per i programmi di ICE dedicati alle start up è invece globalstartup@ice.it.